martedì 5 luglio 2022

La transizione energetica non è una passeggiata. Ma non farla è molto peggio

Ormai l’idea che siamo di fronte a cambiamenti climatici è diventata abbastanza patrimonio comune. Si sa che questi avranno un impatto enorme, potenzialmente devastante sulla nostra vita (o su quella dei nostri figli e nipoti)  Ma pochi si rendono effettivamente contro della gravità del problema. Probabilmente neppure io ne sono consapevole fino in fondo, o dormirei molto meno bene di quanto faccia oggi, avrei il tipo di incubi che ho avuto dopo aver visto (molto di striscio) cosa sia una guerra oggi. 

E quindi sento in continuazione frasi che tendono a minimizzare il problema: sì, sarebbe bello pensare al clima, al pianeta, ma costa troppo, è troppo difficile, e in fondo non serve. O è inutile. O basta una generica riverniciata di verde all’economia (la “crescita verde”) e andrà tutto bene. Proviamo a vedere perché non è proprio così, correggendo un po’ di affermazioni comuni. 

La transizione energetica non è un lusso

Ci viene ripetuto fino alla nausea: oggi non possiamo permetterci misure per uscire dai fossili, sono troppo costose. L’assurdo è che allo stesso tempo ci si lamenta perché i fossili sono troppo costosi, e che quindi lo Stato deve pagarcene una parte. Abbiamo detassazioni delle bollette (che significa che lo Stato ce ne paga una parte), dei carburanti, fondi per coprire i costi energetici di chi è in difficoltà. Sono tutte cose che alla fine paghiamo tutti, in un modo o nell’altro, ma che sono solo palliativi, sono lo scotto di non averci pensato finora. 

Innalzamento dei mari con 2°C di riscaldamento globale.
Rovigo, Pisa, bassa bolognese sono perse.


In realtà sono i cambiamenti climatici che costano: ogni disastro, siccità (quest’estate si preannuncia una delle più secche mai viste dal nostro paese) incendio, tempesta oggi è più frequente, e più grave, per i cambiamenti climatici già in atto. Quelli che verranno saranno MOLTO peggio. Prendiamo ad esempio un articolo, uscito su Repubblica (non sul “bollettino dei catastrofisti ecoradicali”) il 16 maggio scorso. “Sul cambiamento climatico vi avevamo avvertiti ma non ci avete creduto", dice nel titolo Sonia Isabelle Seneviratne, climatologa al Politecnico di Zurigo. Le cose che racconta sono le stesse che sento dire da tutti i miei amici climatologi, che anzi di solito in privato sono molto più pessimisti che in pubblico. Si dovrebbe stare sotto un aumento di temperatura di un grado e mezzo, siamo diretti verso i 3. 2 gradi in più bastano per avere danni irreversibili, nel nostro paese “buona parte della vegetazione, con un aumento delle temperature simile, non sopravviverebbe”. 

Detto in altri termini l’Italia diventa un deserto, poca agricoltura, niente vigneti, niente boschi. Questo è lontano qualche decennio, non qualche secolo. Tra qualche secolo, con 2 gradi di temperatura in più tutte le città costiere finiranno sott’acqua. Livorno, da cui scrivo, non esisterà più. 

Non si tratta quindi di qualche bolletta più cara. Quanto valgono i nostri boschi? Quanto vale la nostra produzione agricola? Le città che finiranno sott’acqua (non solo Venezia) quanto valgono?

Si tratta di salvare Homo Sapiens, non (solo) il pianeta

Il nostro pianeta ne ha passate di cotte e di crude. Asteroidi, megaeruzioni vulcaniche durate millenni con distese di lava che han creato aree enormi come la Siberia, periodi in cui la calotta polare arrivava all’equatore… I negazionisti climatici hanno ragione a dire che tutto sommato questo è un periodo relativamente freddo, e anche con riscaldamento globale non raggiungeremo i livelli di temperatura medi di 50 milioni di anni fa. Ma 50 milioni di anni fa l’Italia era un arcipelago, con i mari decine di metri sopra il livello attuale e i coccodrilli che prosperavano nella giungla siberiana.

La Terra con 8 gradi in più, 55 milioni di anni fa

E’ anche vero che i cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio un sacco di ecosistemi. Citavo qui sopra i nostri boschi appenninici, che non resisteranno ad una sequenza di estati secche come quelle che ci aspettano. Ma in altri posti le cose magari miglioreranno. Le estinzioni globali non hanno significato la fine della vita, poi questa si è ripresa. Noi siamo quelli più a rischio. Viviamo in un sistema che si basa sull’agricoltura, che a sua volta si basa su climi stabili. Niente climi stabili, niente agricoltura. In ogni caso la produzione agricola si ridurrà moltissimo, e non potremo mantenere in vita gli 8 miliardi di persone che oggi popolano la Terra. E non pensiamo “ah, poveri africani che moriranno di fame”: l’Italia non è alimentarmente autosufficiente, ed è una delle regioni che subirà fortemente il riscaldamento.

Non basta piantare alberi

Piantare alberi è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza. Ma non basta. Le foreste europee (che si stanno espandendo) assorbono 3-400 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Gli europei ne producono 6300 milioni di tonnellate l’anno. Dovremmo moltiplicare per 15-20 volte le foreste attuali, per far pari. Ogni persona dovrebbe piantare migliaia di alberi ogni anno. Probabilmente non basterebbe tutta la superficie rimboscabile mondiale, ma anche se bastasse poi noi che mangiamo?

L’idrogeno non è una soluzione

L’idrogeno oggi viene prodotto dal metano, quindi non è meglio rispetto ad usare direttamente il metano. Si può produrre con l’elettricità, ma nelle trasformazioni elettricità-idrogeno-elettricità se ne perde la maggior parte, quando va bene si ri-ottiene il 40% dell’elettricità di partenza, di solito meno del 30%. Quindi molto meglio usare direttamente l’elettricità. Non ha quindi senso fare impianti fotovoltaici per produrre idrogeno, faremo fatica a realizzare abbastanza fotovoltaico per i nostri fabbisogni energetici, buttarne poi via il 70% è da folli. Ha un suo senso, ma solo se usato come accumulo per lunghi periodi (se siamo disposti a buttar via il 60-70% dell’energia di partenza), o per alcune applicazioni particolari (siderurgia), ma un’ “economia dell’idrogeno” ne ha molto meno.

Gli stili di vita? Importanti ma non basta 

Sentiamo un sacco di inviti alla responsabilità: per il clima dobbiamo diventare vegani, usare auto elettriche, abbassare il termostato. Certo, gli stili di vita sono importanti. Servono a “fare la cosa giusta”, imparare a vivere in modo responsabile, e aumentano la nostra resilienza Altrove descrivo come le mie bollette non abbiano risentito dei recenti aumenti, sono così basse da non essere una voce importante del mio bilancio. E, soprattutto, servono a darci la spinta per chiedere le cose giuste, difficilmente chiederò piste ciclabili se mi muovo in auto, o di abbandonare il gas se il rischio è di aumentare il costo di una bolletta già cara.

Cosa mangiamo conta per il clima

Ma da soli questi gesti servono a molto poco: quel che non consumo io verrà bruciato nel SUV del mio vicino di casa (cercate “paradosso di Jevons”), e i combustibili fossili sono “dentro” qualsiasi cosa io usi, consumi, mangi. Comunque io (e mio figlio) siamo i soli nel condominio ad avere bollette di quel tipo (e nessuno dei due è un monaco trappista). Le persone senza un’auto, come me, sono pochissime, anche tra chi è sensibile a temi ambientali. Il messaggio “consumare meno” evidentemente non è molto popolare, non possiamo contare sugli sforzi individuali per salvarci le chiappe.
E comunque qui una serie di azioni utili
Inoltre io sono un disastro per il PIL: se tutti facessero come me i ristoranti, i negozi di abbigliamento, l’industria automobilistica, in generale l’economia fallirebbe. Dobbiamo consumare, produrre, lavorare, ma se produciamo consumiamo energia (e materie prime, altro problema), e quindi produciamo CO2. Quindi il problema è il nostro sistema economico, che va rivisto pesantemente. Per ora potremmo cominciare spostando i consumi su ciò che ci farà consumare meno in futuro: dobbiamo costruire impianti rinnovabili, isolare edifici, potenziare la rete elettrica, insomma investire per poter consumare meno domani. 

Non illudiamoci che basti una “economia verde”, che lascia tutto come è, per saltar fuori dal disastro in cui siamo. Esempio da manuale: le auto elettriche. Il modello che sta passando è sostituire le auto esistenti con auto elettriche. Un’auto elettrica consuma, globalmente da quando la produciamo a quando la smaltiamo, meno energia di un’auto endotermica, diciamo la metà (i numeri esatti cambiano molto a seconda di che auto è, quanto la usiamo, eccetera). Ma dobbiamo ridurre i consumi molto di più del 50%, e certi usi dei mezzi di trasporto diffusi (camion per trasporto merci, servizi come polizia, ambulanze, alcuni mestieri….) non sono eliminabili. Di conseguenza il modello “un’auto a testa” semplicemente non è sostenibile. Non c’è, nel futuro che ci aspetta. Servono meno auto, quindi meno industrie automobilistiche, meno meccanici. E più biciclette (magari elettriche), più mezzi pubblici… 

Insomma servono misure collettive, in cui inserire quelle individuali, che non restino l'hobby di qualche strambo come il sottoscritto. E serve cambiare il modo che abbiamo di concepire l'economia.

Allora facciamo un po’ di rinnovabili. Ma quante?

Immagine obbligatoria per post sul clima,
con pale eoliche, pannelli e girasoli

Quante rinnovabili servono? Se vogliamo ottenere un sistema che sta in piedi senza emettere CO2 servono tre cose:

  1. Sobrietà energetica: ridurre i bisogni a quanto effettivamente serve. Se non lo facciamo abbiamo il paradosso di Jevons, ogni risparmio verrà vanificato da un aumento dei consumi.
  2. Efficienza: ridurre al massimo gli sprechi, usare l’energia minima che serve per quei bisogni.
  3. Passaggio alle rinnovabili: installare tutte le rinnovabili che servono, ragionando sul modo migliore per farlo.

Sono tutte e tre passaggi difficili, e aperti a discussioni infinite sul “come” e sul “quanto”, ma per nessuno dei tre potrà essere “un poco”. E servono tutte e tre, non possiamo scansarne uno. Per esempio, in un recente dibattito su un impianto eolico il comitato contrario sosteneva che l’energia di quell’impianto poteva essere risparmiata eliminando gli standby in tutte le case italiane. Dato vero, ma irrilevante, serve fare entrambe le cose e molto, ma MOLTO di più.

Butto giù due conti molto a spanne, rubando qualche concetto e conto ad un amico. Prendete questi numeri come un’indicazione di dove si va a parare, non come valori precisi, ma danno un’idea. In Italia usiamo in un anno 170 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), ma siccome per produrre energia elettrica si usa più energia primaria dell’elettricità prodotta, alla fine abbiamo usato 126 Mtep di energia finale, circa 1500 miliardi di kWh. Riducendo:

  • i trasporti del 20% (non drammatico: molto telelavoro, molti mezzi pubblici, riduzione del turismo stagionale a lunga distanza, ma a livello individuale medio significa ridurre di cinque volte quanto usiamo l’auto privata)
  • il riscaldamento domestico del 40% (coibentazione)
  • il termico industriale del 20% (coibentazione, ma più difficile, usare processi produttivi meno energivori)
  • convertendo il riscaldamento da fonti fossili ad elettrico con pompa di calore

è possibile ridurre i consumi primari a circa 50 Mtep. Stiamo parlando quindi di riduzioni drastiche, 2 volte e mezzo in meno. Traducendo in energia elettrica, questi corrispondono a un po’ meno di 600 miliardi di kWh (600 TWh). Questa, ottimisticamente (se riusciamo a fare quanto appena descritto) è l’energia che ci serve. Una stima del RSE dà un valore un po’ meno ottimistico, 790 TWh.  

In numeri forse un po'  più comprensibili: oggi ciascun italiano consuma circa 70 kWh ogni giorno, per scaldarsi, muoversi, coltivare il cibo, produrre e trasportare le cose che ci servono. Dobbiamo scendere a 25 kWh, circa 1 kW medio.

Quante rinnovabili servirebbero per produrre 600 miliardi di kWh l'anno? Il grosso problema delle rinnovabili è la ciclicità stagionale: il fotovoltaico produce più energia d’estate che d’inverno, l’eolico più d’inverno che d’estate. Combinando i due possiamo in parte appianare la situazione, ma fino ad un certo punto, dovremmo produrre più energia di quella che ci serve, per diminuire l’ammanco invernale. In estate ne avremmo un surplus, che potremmo utilizzare per produrre l’inefficente idrogeno (o metano di sintesi) per colmare il restante ammanco invernale. Non è detto che basti, nel frattempo dobbiamo studiare come coprire l'ammanco residuo, creare una rete elettrica in grado di trasportare l'energia su lunghe distanze (il vento e il sole possono esserci altrove).

Considerando la quota di rinnovabili che già esiste (idroelettrico), ci servono almeno 300 GWp di fotovoltaico, di cui un terzo possono stare su tetti esistenti. I restanti 2/3 van messi a terra, sono 4000 km quadrati (mettendoli abbastanza radi da poter fare agrovoltaico). L’1% del territorio nazionale. Per rendere visivamente l’area occupata dai circa 100 Gwp dell’eolico è più utile pensare alla distesa, lineare, di turbine: servono 1500 km di turbine offshore e 4000 km di crinali con turbine su terraferma. E occorre installare 25-30 GW l’anno per i prossimi 15 anni. Fino a ieri, grazie a percorsi autorizzativi bizantini e ai veti incrociati, se ne installava circa 1 l’anno. Con le semplificazioni introdotte quest'anno si conta di installarne 5. Dobbiamo ulteriormente quintuplicare questi numeri.

Insomma non è un po’ di rinnovabili, e funziona solo se contemporaneamente si isolano le case, riducono drasticamente i trasporti, si sostituiscono tutte le caldaie con pompe di calore. Solo in questo modo avremo abbastanza energia per coprire i consumi e produrre d’estate un po’ d’idrogeno/metano di sintesi da usare d’inverno.

DI fronte ad un bivio: sconforto o darsi da fare?

Arrivati a questo punto è facile farsi prendere dallo sconforto: non ce la faremo mai, inutile darsi da fare, godiamoci questi ultimi anni e speriamo di esserci sbagliati sulle conseguenze. Ma siamo di fronte a un bivio: non far nulla, e andare incontro ad un disastro, alla fine della nostra civiltà, o far qualcosa, riusciremo a fare quel che riusciremo, e i nostri figli (o noi un po’ più vecchi, io al 2050 non ci arrivo ma molti di voi sì) avranno ancora qualcosa che assomiglia alla vita che viviamo ora. Più facciamo, meglio staremo. 

Certo, niente vacanza alle Maldive, casa riscaldata a 22 gradi, due macchine in famiglia. Ma tra una casa a 18 gradi e una che se si va sottozero (d’inverno continuerà a succedere, ed esistono le montagne), è molto meglio la prima. Poter andare a trovare gli amici o al lavoro con una bici o uno scooter elettrico è molto meglio che doverci andare a piedi. Avere una agricoltura meccanizzata con un po’ di biocarburanti (solo per quello, o non mangiamo più) è molto meglio che avere solo la zappa. E nel primo caso forse riusciamo a sopravvivere in 50 milioni in Italia (visto che la mia generazione si sarà tolta dai piedi e siamo sotto il tasso di sostituzione). Nel secondo se ne può sfamarne 15, i restanti si levino loro dai piedi, in un modo o nell’altro.  

Mamma mia, che pessimista che sei

Pala eolica "collettiva" a Gubbio.
Anche con i miei soldi


Io sono ottimista. Penso che, a fatica, ce la possiamo fare. Mi preparo. Finanzio con i miei soldi impianti di energia rinnovabile, che uso per la mia fornitura. Riesco a dormire la notte. Spero che non arrivi la terza guerra mondiale. Ma non mi illudo che basti una spennellata di verde, riciclare i rifiuti o comperare un’auto elettrica per risolvere il problema. C’è una differenza tra essere ottimista e non essere realista.