domenica 8 aprile 2012

Memorie friulane

Di recente mio padre mi ha dato un libriccino, in cui ha scritto della sua infanzia ed adolescenza. Molto riguarda dettagli di persone che io ho a malapena conosciuto, il microcosmo di Artegna, piccolo paese della pedemontana friulana. Paesaggi che ha ritratto in tanti quadri, con case affastellate e tetti rossi. Posti dove ho passato qualche pomeriggio arrampicandomi su alberi enormi, facendo rotolare arance tra pendii di crochi e bucaneve, o seguendo mio padre mentre cacciava beccacce. Riguarda tanti particolari della sua vita, come la "terribile e contraddittoria passione per la caccia", che lo portava insieme ad allevare amorevolmente una nidiata di quaglie che avevano perso la madre sotto una falce per poi rimetterle in libertà, ed a prendere altre quaglie a schioppettate.

Ma al di là dei ricordi, quelle pagine raccontano di un mondo che ci appare ormai lontano. Un mondo in cui in tutto il paese c'era un solo telefono. Io cui andare a trovare un compagno di classe per giocarci assieme era visto male dai suoi genitori, c'era da lavorare nei campi e chi giocava era un perditempo. Le foto di classe, con 45 bambini affollati tra i banchi. Ma allora probabilmente la disciplina era un po' diversa dalle classi odierne, con il maestro ex ufficiale che, scoperta una marachella "ci sollevò in alto artigliandoci le braccia tra pollice ed indice, lasciandoci due ematomi indelebili per qualche settimana"..

Mi colpiscono le tante cose che oggi diamo per scontate. La foto della via che conosco bene, sia prima del terremoto del '76 (allora al bar dell'angolo era rimasto uno dei pochi telefoni funzionanti) che dopo. Fa impressione vederla polverosa, senza un'auto, con la gente che la percorre a piedi o in bicicletta, con ritmi più tranquilli e pacati. Le case senza acqua corrente, l'albergo dove abitava la famiglia di mio padre (mia nonna lo prese in gestione) l'aveva, con un piccolo acquedotto privato, ma solo per il bar e la lavanderia. Le lavandaie che andavano al lavatoio di borgata, anche d'inverno, ma il bucato grosso si faceva ogni due mesi, con la cenere. Niente negozi di scarpe o vestiti, il calzolaio ti cuciva le scarpe all'occorrenza, e la mamma i vestiti sulla Singer a pedale, con cui tanti anni dopo ho pure io imparato a cucire.

Altre cose si intravedono nel racconto. I tanti morti, che nel libro sono fugacemente accennati. In un'altra occasione mi ha parlato del cimitero dei bambini, con le piccole bare bianche che superavano di numero quelle degli adulti, bastava una polmonite e la TBC era endemica. E il barbiere non sterilizzava i suoi strumenti, se ti beccavi l'"ittero catarrale" (così chiamavano l'epatite) l'unico rimedio era il sale inglese. Le difficoltà a studiare, in particolare ma non solo durante la guerra, e la tenacia che ha portato tanti suoi compaesani ad eccellere nonostante tutto.

Mio figlio mi ha fatto notare le facce delle foto. Difficile vedere qualcuno sorridente, la posa è sempre molto seria, composta, persino nei componenti della filodrammatica in costume da diavoletto.

Si fa fatica a pensare che questo modo di vivere, che oggi a noi risulta così distante, stia ad appena 70 anni. La nostra vita frenetica, asfaltata, in cui lavorare nei campi è un destino di pochi e non la dura realtà per quasi tutti, in cui devi saper fare un po' di tutto perché tante cose non si comprano, è a pochi attimi di distanza. Credo che queste memorie siano preziose. Riviverle, tenerle presenti ci ricorda di quanto abbiamo guadagnato, e di quanto abbiamo perso, in questi anni. E di quanto sia facile riperdere quel che abbiamo guadagnato, magari senza poter più ritrovare quel che invece è andato perso.

domenica 1 aprile 2012

Energie rinnovabili ed energie immaginarie

Mi sono di recente associato ad una cooperativa di produzione e consumo di energie elettrica rinnovabile. Come ho scritto in precedenza io non posso mettermi un impianto fotovoltaico sul tetto, in quanto in un condominio la mia quota di tetto non basta. Ho dovuto accontentarmi di un piccolo pannello, con cui produco l'energia che sto usando ora per scrivere questo post. Non sono il solo con questo problema, ed in Piemonte un gruppo di persone ha deciso di associarsi in una cooperativa, e costruire un bell'impianto comune in un tetto libero (qui sopra un loro impianto da 50 KWp sul tetto di una scuola). I soldi dell'energia prodotta vengono divisi tra i soci e, grazie ad un accordo con una società di distribuzione, puoi acquistare quell'energia per casa tua.

Di recente la cooperativa si è allargata anche in Toscana, si sta cercando di costruire un impianto a Calenzano, ho quindi cominciato a seguire le discussioni, e sono stato ad un incontro pubblico. E ho visto il lato oscuro che minaccia sempre queste iniziative. Preciso subito che i responsabili della cooperativa mi sembrano ben vaccinati, per cui non mi preoccupo molto, per ora. E quanto racconto non è assolutamente una critica a loro, è un problema generale.

In ogni gruppo che parli di ecologia, energia, fonti rinnovabili ci sono sempre persone che cominciano a parlare di soluzioni miracolose, apparecchi che producono energia a costo zero, osteggiati dai soliti potenti, multinazionali del petrolio, industrie automobilistiche, ecc. Inventori misconosciuti, che ovviamente han dimostrato la validità del loro prodotto in test condotti davanti a testimoni affidabili (ma mai da centri dotati di adeguata strumentazione con regolari pubblicazioni).

Ultimamente spopola l'E-Cat di Rossi, che confermo, dopo essermi sciroppato tutte le "prove", non ha mai dimostrato di funzionare in modo convincente. Non ne parlo, visto che lo ha già fatto abbondantemente Ugo Bardi in una serie di post che demoliscono completamente la faccenda. O la semplice considerazione che, con le norme attuali, un apparecchio che produca energia da reazioni nucleari non verrebbe mai omologato per usi domestici.

Ma la zoologia di queste cose è molto più vasta. Provo ad elencarne qualche esemplare, senza pretese di essere esaustivo.

Comincio dall'ossidrogeno, nella versione seria una miscela di ossigeno ed idrogeno utile per fare saldature a fiamma ossidrica. Nella versione presentataci entusiasticamente giovedì scorso si tratta di mettere acqua nella benzina. Ah, funzionerebbe anche senza benzina, ma il furbo inventore usa comunque un 20% di benzina per imbrogliare i petrolieri, che altrimenti lo farebbero fuori. L'acqua, nel cilindro del motore, si decompone in idrogeno ed ossigeno, che si sa è una miscela tremendamente energetica. Anche qui, il buon Bardi ha pensato di debunkarla. Ma la lobby delle batterie al litio (è la prima volta che ne sentivo parlare) insabbia tutto.

Sempre dalla mailing list di Retenergie ho trovato queste pasticche magiche. Le metti nel serbatoio assieme alla benzina e il motore rende il 15% in più, emettendo il 75% in meno di inquinanti. Bastasse un po' di additivo magico e le compagnie petrolifere farebbero a gara a venderti la benzina additivata. Ovviamente non esistono misure di queste miracolose prestazioni, solo un certificato tedesco che in pratica ti autorizza a mettere (a tuo rischio) le pasticche nel serbatoio.


E poi c'è tutto il lungo elenco delle solite cose, di cui ho parlato in un precedente post. L'idrino ed il Magnegas di Santilli. Il MEG, di cui ho parlato qui, ed un sacco di motori magnetici, affari pieni di calamite che riescono a respingersi sempre, in un circolo chiuso, facendo girare vorticosamente un rotore. Te li vendono (come del resto ti vendono la Torre di Pisa), "satisfaction guaranteed", e te li fanno pure vedere su Youtube.

A quanto pare non riusciamo ad affrontare in modo razionale una situazione spiacevole. L'energia costa sempre di più, ce ne accorgiamo direttamente quando facciamo il pieno o paghiamo la bolletta, indirettamente quando facciamo la spesa (un piatto di spaghetti "contiene" mezzo bicchiere di petrolio, tra fertilizzanti, trattore, lavorazione e camion per trasportarlo, un televisore anche 100 litri). E allora, per non pensare che forse in un futuro vicino l'energia non potremo più permettercela, con tutto quanto questo comporta, fuggiamo. La maggior parte all'indietro: neghiamo quel che succede, è tutta colpa di petrolieri, della speculazione, o degli incentivi al fotovoltaico (che invece ci fan risparmiare, sulla bolletta, grazie al meccanismo del peak shaving). Ma presto tutto tornerà come prima, è solo un incidente passeggero.

Altri invece fuggono in avanti, verso la soluzione magica che risolverà tutto, grazie ad un miracolo che è dietro l'angolo, basta crederci (e non credere a quei pallosi fisici che pretendono PROVE) e raccoglierlo.

Il problema è che entrambi questi atteggiamenti finiscono per impedirci di vedere il vero problema, e le vere soluzioni (almeno per attenuare la botta). Alla conferenza di retenergie si è perso mezz'ora a sentir parlare di ossidrogeno, e poi serve un'altra mezz'ora per spiegare a chi non ne ha gli strumenti perché si tratti di una cavolata, quando si poteva usare quel tempo per cercare di capire come risolvere i problemi burocratici alla realizzazione dell'impianto di Calenzano. Si rischia che, se queste cose prendono piede, delle esperienze serie buttino i pochi soldi che si riesce a raccogliere in bufale. Ma soprattutto finiscono per indicare come bersagli proprio le soluzioni vere: l'accumulo di energia (problema fondamentale delle rinnovabili) diventa "la lobby degli accumulatori". Chi sbufala l'E-Cat un "venduto al sistema", che per due euro sparge menzogne sui "ricercatori indipendenti". Ovviamente se non credi a queste cose sei parte del complotto, e chi non ci crede è in primis chi si occupa del problema.

Lo stesso succede con i cambiamenti climatici. Viviamo quest'anno una siccità drammatica, speriamo nelle piogge di Aprile ma qui in Toscana servirebbero 50 giorni di pioggia continua per ripristinare le scorte idriche. Quel che paventa da anni chi studia il riscaldamento globale. Ma no, non è possibile, si tratta sicuramente di un caso, di un anno particolarmente sfortunato. Oppure delle famigerate scie chimiche, come raccontavano venerdì a Controradio. In ogni caso i climatologi, o i tecnici dell'ARPAT, sono i primi a finire (per ora metaforicamente) sul rogo. Ma ne parlo la prossima volta.