Qualche giorno fa un hacker ha forzato il server di posta dell'University of East Anglia Climate Research Unit, un centro di ricerca che studia l'andamento storico del clima sulla Terra, copiando e poi disseminando per il mondo qualche centinaio di megabyte tra posta e documenti di uno degli studiosi, il dott. Phil Jones.
Una buona descrizione della cosa viene riportata su Realclimate, mentre i vari blog che negano i cambiamenti climatici si sono scatenati a citare mail fuori dal contesto, sostenendo che non esiste consenso sul clima, che i dati sono stati falsificati od omessi arbitrariamente, che gli scienziati dell'IPCC sono una banda di astiosi violenti. Non casualmente, alla vigilia degli incontri di Copenhagen sul clima.
Cosa sia il contesto in un archivio di mail di oltre 10 anni non è banale. Poniamo qualcuno forzasse il mio, tanto per fare esempi di cui so qualcosa. Tempo fa mi han chiesto di fare da referee (quello che fa le pulci agli articoli prima che vengano pubblicati) ad un articolo di un mio collega che mi sta fondamentalmente antipatico. La cosa non mi piaceva, e ho scritto qualche mail ad amici chiedendo consiglio. Non ho sottomano le mail, ma vi assicuro che erano colorite. Poi ho letto l'articolo, ho trovato alcuni punti criticabili, le critiche sono state accettate dall'autore, l'articolo rivisto leggermente e poi approvato a pieni voti. E ho condiviso l'apprezzamento con i colleghi a cui avevo chiesto consiglio. Le mie antipatie non sono entrate che, forse, in un'attenzione maggiore al mio lavoro di revisore. Ma se uno prende una di quelle mail colorite può tranquillamente accusarmi di essere prevenuto, di bocciare gli articoli prima ancora di leggerli. Se li legge l'autore dell'articolo, credo non sarebbe piacevole(1), non per niente l'identità dei referee è segreta.
E chi non ha mai detto in vita sua di un collega, o di un parente antipatico, che lo batterebbe nel muro se lo vede? Questa frase, ovviamente pesante se messa in un blog pubblico (2), in una conversazione privata ha tutto un altro peso. Ma basta a definire l'intera comunità dei ricercatori sul clima una banda di rissosi astiosi.
Il fatto che durante lo studio di un fenomeno, e nella preparazione di articoli scientifici, ci sia discussione tra gli scienziati coinvolti viene presa come prova di un "mancato consenso". Il consenso si costruisce con la discussione, con critiche, osservazioni, non nasce autoevidente. Che ci sia traccia di questo in un carteggio di 10 anni è assolutamente scontato.
Nel corso della discussione si parla di dati che le persone coinvolte sanno essere sbagliati, per qualche motivo. Capitato anche a me, in una ricerca fatta 16 anni fa, cercando onde gravitazionali misurando la distanza di una sonda spaziale. Trovammo uno strano segnale, assolutamente incompatibile con un segnale astronomico, ma che rovinava i dati. Nelle mail di allora parlavo di come "eliminare quei dati". Alla fine scoprimmo cos'era, un diodo rotto nel radiotelescopio di Camberra. Usando quelle mail ci potrebbero accusare di voler cancellare i dati che ci davano torto.
Da quel che ho visto, quelle mail descrivono solo normale corrispondenza di un normale ricercatore, con dubbi, scelte, ripensamenti. Corrispondenza intesa per qualcuno che sapeva bene di che si parla e non per un lettore esterno, anche esperto dell'argomento. Soprattutto non mostrano qualcuno che sta mentendo, o che è convinto che quel che sta scrivendo sono bufale. Non mostrano qualcuno che riceve ordini politici dall'esterno. Che ha potere di censurare o che comunque censura.
Tanti altri esempi sono nei commenti e nel testo dell'articolo di realclimate. Giudicate voi. Ma prima di giudicare, provate a dare una scorsa ai vostri vecchi messaggi di posta. Siete proprio sicuri che sareste contenti se finissero letti da mezzo mondo? Che non vi farebbero fare una immeritata figuraccia?
Note:
1) Difatti le ho appena cancellate.
2) Ogni riferimento ad alcuni particolari blog non è ne casuale nè intenzionale ma inevitabile